Federica Falcone

“Cara a bidda” in lingua sarda significa letteralmente “faccia al paese”.

“Carabidda” nasce quando lasciata la vita a Parigi mi sono trasferita a Bonarcado nel cuore del Montiferru in Sardegna, il paese d’origine di mio nonno. Qui ho cominciato la ricerca fotografica sulla comunità del paese.

I personaggi di questa sequenza sono vari, ma con uno in particolare si è intrecciata la mia esistenza: Tonino, un pastore della Barbagia di cui ho intrapreso le orme come pastore di pecore, e che mi ha accolta nella sua famiglia come “fiza ‘e anima”.

Le prime a chiamarmi “fiza ‘e anima”(figlia d’anima) sono state le donne della famiglia di Tonino; nella cucina della casa durante i primi incontri eravamo solo donne, diverse generazioni che condividevano idee e scambiano opinioni su questioni di casa e di paese, esclusivamente in lingua sarda che per me veniva quasi sempre tradotta in italiano.

Il giorno che conobbi Tonino stava domando il suo giovane cavallo Carabidda, ma non ebbi modo di chiedergli il significato del nome; un giorno di marzo, dopo molti mesi passati insieme, finito di spostare il gregge, entrambi seduti a cavallo in fila indiana, provai a chiederglielo. Tonino si voltò in piedi sulle staffe come un giovane fantino, e mi raccontò di un suo compaesano che incontrava spesso sulla strada per Gavoi, rientrando dall’ovile. Quasi per uno strano rituale, ogni volta Tonino si accostava con l’auto all’uomo a piedi per domandargli dove andasse, e l’uomo dava sempre la stessa risposta: “carabidda”, al paese.

F.F.

The literal meaning of “Cara a bidda” in the sardinian language is “facing the village”.

“Carabidda” was born when I left Paris to move to Bonarcado, a village deep in the Montiferru region of Sardinia, where my grandfather came from. There, I began a photographic research on the local community.

Various characters feature in this sequence. But my life became interwoven with one in particular: Tonino, a shepherd from the Barbagia area. I followed in his footsteps as a shepherd, and he welcomed me into his family as “fiza ‘e anima”.

The first people to call me “fiza ‘e anima” (literally, “soul daughter”), were the women in Tonino’s family. During our first few meetings in their kitchen at home, there were only women there; different generations sharing ideas and exchanging opinions about domestic or village matters. They spoke in sardinian, which was almost always translated into Italian so that I could understand.

The day I met Tonino, he was breaking in his colt Carabidda, but I didn’t get the chance to ask him what the horse’s name meant. We spent several months together. Then, one day in March, after we’d finished moving the herd and were both sitting on horseback in single file, I tried asking. Tonino stood up in his stirrups like a young jockey; he told me about another man from his village whom he often encountered on the road to Gavoi, as he drove back from the sheepfold. Almost as though in some strange ritual, each time Tonino would slow down to approach the man, who was walking on the roadside. He would ask him where he was going, and the man would always give the same answer: “carabidda”, to the village.

F.F.